Al via il Corso Iniziale per Mediatori – Accreditato IMI con 10 tirocini presso ADR Center

Principi, strategie e tecniche per la mediazione delle controversie civili e commerciali (ai sensi della Riforma ”Cartabia” del D.Lgs 28/10 e del DM 150/23) – 80 ore di formazione, online in modalità sincrona e in presenza, 10 tirocini presso ADR Center.
ADR Center – iscritta al nr. 2 dell’elenco degli enti formazione per mediatori tenuto dal Ministero della giustizia – dà il via alla prossima edizione del Corso Iniziale per Mediatori che verrà erogata online e in presenza presso la sede romana di ADR Center (Via degli Scipioni 247 – 00192 Roma) per soli 40 partecipanti.
Destinatari

Il Corso Iniziale per Mediatori è rivolto a tutti coloro che posseggono una laurea magistrale o a ciclo unico in giurisprudenza che desiderano acquisire il requisito formativo per richiedere l’iscrizione agli organismi di mediazione accreditati dal Ministero della giustizia. L’accoglimento della richiesta dipende dai criteri di selezione del singolo organismo.
Per chi ha una laurea magistrale o a ciclo unico diversa da giurisprudenza, dopo aver frequentato e superato il corso iniziale per mediatori dovrà attestare anche la frequenza al Corso di approfondimento giuridico in mediazione come previsto dall’art.23, commi n. 6 e 7 del D.M. 150/2023.
Attestato rilasciato da ADR Center

Ai partecipanti sarà rilasciato l’attestato di partecipazione e, sulla base della valutazione finale, del superamento del Corso iniziale per Mediatori. L’attestato includerà l’accreditamento internazionale da parte del International Mediation Institute (IMI) per IMI Certified Training Programs.

Qui il link per ulteriori informazioni e iscrizioni, rimangono ancora pochi posti:

Le opposizioni esecutive, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., devono essere proposte nei confronti dell’agente della riscossione

Per la Suprema Corte, le opposizioni esecutive, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., devono essere proposte nei confronti dell’agente della riscossione, unico legittimato passivo rispetto alle stesse, in quanto titolare esclusivo dell’azione esecutiva; in mancanza, le opposizioni stesse

devono essere dichiarate inammissibili, anche se proposte nei confronti del solo ente titolare del credito, in quanto avanzate nei confronti di un soggetto privo della necessaria legittimazione passiva sul piano processuale, senza possibilità di un ordine di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c., non sussistendo la situazione di litisconsorzio necessario cd. sostanziale prevista da tale disposizione. (Ord. 3870/2024, scaricabile di seguito)

Per informazioni e consulenze, scrivere a consulenza@studiotantalofornari.it, oppure al n. di Whatsapp 0632609190

Per la Prima Presidente della Suprema Corte, la mediazione sta dando ottimi risultati

Per la Prima Presidente della Corte Suprema, la mediazione è un ottimo strumento deflattivo, ma anche di risoluzione dei conflitti.

Le parole della Prima Presidente della Cassazione, Margherita Cassano, sulla mediazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario sono veramente importanti, e denotano un vero e proprio cambio di mentalità da parte degli operatori del settore.

Nel settore civile le pendenze sono diminuite dell’8,2% nei Tribunali e del 9,8% nelle Corti d’appello. La durata media dei procedimenti si è ridotta in primo grado del 6,6% e in appello del 7%. Il disposition time è sceso del 6,4% nei Tribunali e del 6,4% nelle Corti d’appello. Fra i tanti aspetti delle modifiche normative – aggiunge Cassano – che hanno reso possibili questi risultati confortanti desidero citarne uno in particolare: la mediazione. Dai dati ministeriali emerge, infatti, una sua significativa applicazione soprattutto nelle cause in tema di successione, divisione ereditaria, diritti reali, condominio, assicurazione, responsabilità extracontrattuale già instaurate, a dimostrazione di un mutamento condiviso di cultura di giudici e avvocati. Come osservato dalla dottrina – prosegue -, il valore della mediazione non risiede soltanto nella sua capacità deflattiva, quanto piuttosto nella sua idoneità a realizzare la coesione sociale, a porre al centro la persona, prima ancora che la “parte”, a restituire agli individui l’opportunità di comprendere le ragioni del conflitto e di acquisirne la consapevolezza, a promuovere l’ascolto empatico dell’altro, a gestire relazioni efficaci attraverso il confronto

Un giusto e prestigioso riconoscimento per i mediatori, operatori del settore, che con grande applicazione ogni giorno si cimentano (oltre ad aggiornarsi continuamente sulle migliori tecniche di negoziazione) con questo fondamentale strumento di pacificazione con grande impegno e passione, non solo nell’ottica di deflazionare il contenzioso, ma di realizzare – come molto spesso accade – i veri interessi delle parti.

Ruolo fondamentale, in questa direzione, è quello degli avvocati che dopo una certa resistenza iniziale, qualche volta giustificata da mediatori non sempre all’altezza, ora in misura sempre maggiore, non vedono la mediazione come un ostacolo, ma come un’ottima opportunità per i loro assistiti (oltre che un’opportunità professionale), che guidano con grande abilità, insieme ad un mediatore preparato, verso la risoluzione dei loro problemi, invece che verso un contenzioso costoso, lungo e spesso inutile.

Estremamente interessante, anche per chi ha ancora non ha compreso le vere potenzialità dell’istituto (qualche Collega che sembra un po’ il giapponese abbandonato su un’isola, che non era stato informato della fine della guerra e si ostinava a resistere) il riferimento della Presidente Cassano non solo all’utilità deflattiva, ma anche alle potenzialità di pacificazione della mediazione, mediante la capacità del mediatore e della procedura di mettere al centro la persona, e di dare alle parti l’opportunità di comprendere le ragioni del conflitto e di acquisirne la consapevolezza, a promuovere l’ascolto empatico dell’altro, a gestire relazioni efficaci attraverso il confronto.

Si tratta, naturalmente, di possibilità che una lite in Tribunale non potrà mai offrire. La strada è tracciata, la mediazione è uno strumento di civiltà.

Non presentarsi in mediazione può essere molto pericoloso!

Per il Tribunale di Pavia, in applicazione del D.lgs. 28/10 nella sua versione in vigore dal 30 giugno 2023, chi non partecipa al procedimento di mediazione, senza giustificato motivo, deve essere condannato al pagamento in favore dell’erario di una somma pari al doppio del contributo unificato.

Infatti, mentre la versione precedente della norma prevedeva la condanna al solo pagamento del contributo unificato, il nuovo art. 12 bis ha raddoppiato la sanzione. Peraltro, la norma specifica chiaramente che non si tratta di una valutazione discrezionale del Giudice, ma di un obbligo dello stesso.

Pertanto, prima di non presentarsi in una procedura di mediazione, occorre pensare bene alle conseguenze di tale comportamento!

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PAVIA

SEZIONE TERZA CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Dott. Luciano Arcudi, sulle conclusioni prese all’udienza dell’8.11.2023, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. di R.G. 981/2023, promossa da:

(…) (C.F.: (…) elettivamente domiciliata in Voghera (PV), via (…) presso lo studio degli Avv.ti (…) che la rappresentano e difendono in forza di procura in atti,

– ricorrente –

contro

(…) (C.F.: (…) elettivamente domiciliata in Voghera (PV), (…) presso lo studio dell’Avv. (…) che la rappresenta e difende in forza di procura in atti,

– convenuta –

Svolgimento del processo

1. – Tra le parti era concluso il 3.7.2019 contratto di locazione con il quale la resistente (…) concedeva in godimento alla ricorrente (…) l’immobile ad uso commerciale (bar) ubicato in V., via (…) Il contratto prevedeva un canone di Euro 1.000,00 annui con riferimento al primo quadriennio, “al fine di incentivare l’avviamento dell’attività del conduttore” e con la previsione che, a partire dal quarto anno, le parti avrebbero stabilito “di comune accordo, in base all’andamento dell’attività commerciale intrapresa dal conduttore, come proseguire il presente contratto sulla scorta della situazione economica del conduttore”. Inoltre, si prevedeva che “la ditta conduttrice non potrà fare valere alcuna azione o eccezione, se non dopo aver eseguito il pagamento delle rate scadute chiusi. Ancora, si stabiliva che “il conduttore non potrà portare modifiche alcune e addizioni, né opere in genere, se non dopo aver ottenuto il consenso scritto preventivo del locatore, il quale, comunque, al termine della locazione e a propria discrezione potrà chiedere e ottenere il ripristino o ritenere, senza alcun indennizzo, quanto realizzato dal conduttore” (clausola n. 8) e che “senza preventivo consenso scritto del locatore, è vietata qualsiasi modifica, innovazione o trasformazione die non consentano in ogni momento il ripristino dei locali nello stato attuale, fermo restando che ogni spesa, anche se è autorizzata, ivi comprese quelle relative alle pratiche amministrative, che fossero necessarie, rimarrà ad integrale carico della parte conduttrice e die gli eventuali lavori, o le innovazioni o modificazioni, ove richiesto dalla parte locatrice, verranno rimosse al termine della locazione, sempre a cura e spese della parte conduttrice senza diritto di rivalsa. Ogni ulteriore aggiunta che non possa essere tolta senza danneggiare i locali oggetto di locazione, ed ogni altra innovazione, pur autorizzata, resterà acquisita la proprietà a titolo gratuito” (clausola n. 9).

In una “appendice” al contratto, avente pari data 3.7.2019, si stabiliva che il canone sarebbe stato di Euro 6.000,00 a partire dal 4.7.2023.

La conduttrice ometteva il pagamento del canone e, con comunicazione in data 27.5.2021, manifestava la volontà di recedere (la ricorrente, che produce solo la r/r di una raccomandata, si riferisce ad una “risoluzione” ma, dalle ragioni addotte, si desume che si fosse trattato di recesso).

Essa conduttrice, sostenendo di avere eseguito lavori all’interno dell’immobile per Euro 12.000,00, ha quindi chiesto la condanna della locatrice al rimborso dei relativi costi, sul rilievo che il rapporto locatizio ha avuto durata ridotta rispetto a quanto previsto (punto 19 del ricorso) ed, in via subordinata, a titolo di indennità ex art. 1592 c.c. (punto 23 del ricorso).

La resistente si è costituita resistendo alla domanda.

Il G.U., ritenuta la superfluità delle prove dedotte, ha invitato le parti alla discussione ed ha definito la causa con pronuncia del dispositivo all’udienza dell’8.11.2023 e riserva di deposito della motivazione entro i successivi sei giorni.

Motivi della decisione

2. – Si deve premettere che non è fondata l’eccezione di parte resistente sulla presenza nel contratto di locazione di una clausola secondo la quale “qualora insorgessero controversie in merito all’interpretazione del presente contratto, le parti pattuiscono di attivare l’istituto della mediazione presso l’organismo della Camera di Commercio territorialmente competente, secondo quanto pattuito dalle disposizioni vigenti in materia nonché nel rispetto del regolamento in vigore presso (‘Organismo per modalità e termini. In caso di mancato accordo, saranno esperibili le iniziative avanti al A.G.O. come per legge”.

Essa sostiene l’improcedibilità alla luce del fatto che era stato esperito il tentativo di mediazione, obbligatorio “ex lege”, dinanzi ad un organismo di mediazione diverso da quello indicato in detta clausola.

Ora, in disparte il fatto che la clausola stessa fa riferimento unicamente alle controversie concernenti “l’interpretazione del contratto”, da questa non si desume che le parti avessero inteso stabilire l’utilizzo in via esclusiva di detto organismo, non desumendosi ciò dal tenore della clausola, il che assorbe l’ulteriore questione se una siffatta previsione sarebbe valida ed efficace.

3. – Premesso quanto sopra, le domande di parte ricorrente, sia quella principale sia quella subordinata, sono infondate e devono pertanto essere rigettate.

Anzitutto, sebbene il contratto ascriva letteralmente la previsione di un canone sensibilmente ridotto per il primo quadriennio (circa 83,00 euro al mese) rispetto a quello di mercato (che si presume essere quello di Euro 500,00 al mese) alla finalità di “incentivare l’avviamento dell’attività del conduttore”, tutto porta a ritenere – e le parti stesse lo affermano espressamente in atti – che la reale finalità era “compensativa” del costo dei lavori svolti, sul presupposto che questi sarebbero rimasti a beneficio della locatrice al termine della locazione.

Pertanto, l’impostazione difensiva di fondo del ricorrente, che ha fondato sul presupposto di cui sopra la domanda svolta in via principale, può ritenersi in linea di principio corretta: i costi di cui trattasi sarebbero stati “ammortizzati”, grazie al canone ridotto, fino al 3.7.2023, mentre il rapporto è cessato prima di tale momento.

Ciò che, tuttavia, essa ricorrente trascura di considerare, è il fatto che tale anticipata cessazione era avvenuta non per qualche evento al quale essa non poteva sottrarsi (quale un “factum principis”) o per fatto imputabile alla controparte, bensì per effetto di un proprio atto volontario, logicamente implicante la rinuncia al beneficio dell’utilizzo a canone ridotto dell’immobile ancora per il residuo tempo previsto.

D’altra parte, a diversamente opinare, la ricorrente non avrebbe comunque diritto all’indennità ex art. 1592 c.c. e ciò in quanto le parti avevano espressamente escluso, in via pattizia, tale eventualità.

Premettendo che il consenso della parte locatrice all’esecuzione di opere integranti innovazioni o miglioramenti, “… importando cognizione dell’entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, né può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, così che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo” (così Cass. ord. n. 15317/2019), si deve rilevare che, nella specie, le parti hanno convenuto che il consenso stesso avrebbe dovuto essere fornito in forma scritta, il che, alla luce dell’interpretazione della volontà delle parti, porta a fare ritenere la necessità di tale forma ai fini della validità stessa ed efficacia del consenso agli effetti dell’art. 1592 c.c.

Tale consenso scritto è nella specie mancante e, se anche fosse sussistente, l’esito della domanda in esame non muterebbe.

Infatti, le parti stesse (clausola n. 9) avevano previsto che anche le spese che fossero state “autorizzate” (quindi, per le quali c’era il consenso scritto), in riferimento ad opere che non potevano essere asportate senza danneggiare i locali oggetto di locazione ed “ogni altra innovazione”, sarebbero rimaste “acquisite alla proprietà a titolo gratuito”, clausola coerente con il già menzionato fatto che il costo dei lavori eseguiti per la sistemazione dei locali era compensato dal minor canone pattuito.

Inoltre, il che sarebbe comunque dirimente, l'”importo della spesa” rilevante ex art. 1592 comma 1 c.c. non è stato comunque provato: in particolare, ai sensi della predetta disposizione, l’indennità deve corrispondere al minor valore tra l’importo della spesa sostenuta ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, ed una C.T.U. potrebbe individuare solo uno dei due termini di riferimento (ossia, il secondo), essendo il primo un fatto storico al quale la sola ricorrente è vicino e che solo essa è quindi in grado di provare.

4. – Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. Per la fase di trattazione/istruttoria deve essere liquidato un importo inferiore al parametro medio (euro 900,00), essendo stata l’istruttoria solo documentale e cosi anche per quella decisionale (Euro 1.000,00), in ragione tanto del citato carattere precostituito della prova quanto del fatto che nelle memorie conclusive sono state dalla parte vittoriosa sostanzialmente riprese argomentazioni difensive già esposte nei precedenti atti di causa.

La resistente, che non ha senza giustificato motivo partecipato al procedimento di mediazione, deve essere condannata ex art. 12 bis comma 2 D.Lgs. n. 28 del 2010 al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza ed eccezione:

I. respinge le domande presentate dalla ricorrente (…) nei confronti della resistente (…)

II. condanna la ricorrente alla rifusione in favore della resistente delle spese di lite, che liquida per compenso di difensore in complessivi Euro 3.600,00, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A come per legge;

III. condanna la parte resistente, che non ha senza giustificato motivo partecipato al procedimento di mediazione, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.

Fissa termine di giorni sei per il deposito della motivazione.

Conclusione

Così deciso in Pavia, il 8 novembre 2023. Depositata in Cancelleria

Per l’iscrizione dell’ipoteca esattoriale sussiste l’obbligo di comunicazione preventiva (Cass. 26999/23)

Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 77 d.p.r. n. 602/1973 (13 luglio 2011) l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973 (nella formulazione vigente “ratione temporis”) deve essere preceduta, pena la sua nullità, dalla comunicazione e dalla concessione di un termine di trenta giorni al contribuente per il pagamento o la presentazione di osservazioni.

Non è invece necessaria l’intimazione di pagamento, dato che secondo l’ordinanza citata, l’atto di iscrizione ipotecaria non costituisce atto di espropriazione forzata.

In applicazione di detti principi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente.

Per informazioni e richieste di consulenza, scrivere a consulenza@studiotantalofornari.it oppure al n. di Whatsapp 0632609190

Tasso d’interesse legale a 2,5% dal 1° gennaio 2024

Con il decreto 29 novembre 2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 dell’11 dicembre 2023, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito la misura del saggio degli interessi legali al 2,50% con decorrenza dal 1° gennaio 2024.

Il tasso attuale era del 5%, quindi è stato dimezzato. Di conseguenza, se le parti non determineranno un diverso tasso di interesse, sarà quello del 2,5% ad essere applicato.




 

Perchè preferire la mediazione

Dopo quasi trent’anni di professione legale e quattordici da mediatore con oltre quattromila procedure condotte, sono sempre più convinto che preferire le procedure di risoluzione alternativa delle controversie e in particolare la mediazione, rispetto al ricorso al Tribunale, sia molto vantaggioso, per una serie di motivazioni oggettive. Proviamo ad elencarne alcune.

  1. Il risparmio di tempi: con la nuova formulazione della normativa (il D.lgs. 28/10), la mediazione deve concludersi nel termine massimo di tre mesi, prorogabile su accordo delle parti per ulteriori tre mesi. Il vantaggio, rispetto ad un procedimento di primo grado che dura almeno tre anni (chi scrive ha cause pendenti in primo grado dal 2015), è del tutto evidente;
  2. Il credito di imposta: a fronte delle indennità per il prezioso lavoro del mediatore, che spesso con la collaborazione di parti e avvocati riesce a trovare soluzioni inaspettate e che creano valore, in caso di accordo le parti potranno utilizzare un credito di imposta dell’importo massimo di 600 €, la metà del credito in caso di mancato accordo. Inoltre, nelle mediazioni demandate dal Giudice, le parti potranno utilizzare un ulteriore credito di imposta pari al contributo unificato versato, fino all’importo massimo di 518 euro;
  3. L’esenzione totale dalle imposte fino all’importo massimo di centomila euro: è del tutto evidente il vantaggio e il risparmio per le parti, per esempio nelle questioni riguardanti lo scioglimento di comunione e le divisioni ereditarie, le usucapioni etc. In sostanza, trovare un accordo in mediazione consente alle Parti un risparmio enorme, senza poi considerare che la cause in materia di scioglimento della comunione e divisione ereditaria durano anni, costano un’enormità e spesso il loro unico risultato è la vendita all’asta dei beni, ad un valore molto inferiore a quello reale, con la conseguente perdita economica per le Parti. Un accordo in mediazione è sicuramente preferibile, anche perchè spesso consente di recuperare i rapporti personali.
  4. La riservatezza: al contrario di quello che spesso accade in Tribunale, tutto ciò che accade in mediazione è riservato e non può uscire dai confini della procedura, tanto che spesso vengono siglati accordi importanti in cui la riservatezza è fondamentale. Inoltre, la possibilità per le parti di conferire separatamente con il mediatore, consente loro di rivelargli informazioni di fondamentale importanza, che non possono essere rivelate, ma che se ben utilizzate, consentono a un bravo mediatore di individuare delle possibili soluzioni alla questione.
  5. La possibilità di “allargare” la torta, cioè di trattare questioni che in causa non è possibile trattare, allargando l’accordo a nuove opportunità, e quindi creando valore per tutti.
  6. Il fatto che, una volta siglato l’accordo, non solo questo sia titolo esecutivo, ma non sia impugnabile come lo sarebbe una sentenza, se non per dolo. Quindi, una volta firmato, diventa definitivo (e come detto, esecutivo).
  7. Per i miei colleghi avvocati, ricordo che le ultime modifiche apportate ai parametri per l’assistenza legale, hanno aumentato le tariffe per quella in mediazione del 25% circa. Questo, unito al fatto che un assistito sarà molto più portato a versare quanto dovuto se ha ottenuto un risultato in tempi brevvi anzichè dopo anni (e spesso senza poter eseguire la sentenza), è determinante per chi ancora pensa – fortunatamente pochi – che andare in mediazione possa far perdere compensi professionali.
  8. La mediazione puo’ consentire, al contrario di quanto generalmente avviene all’esito del giudizio in Tribunale, di preservare il rapporto con l’altra parte. Le clausole di mediazione inserite nei contratti possono inoltre dar modo alle imprese di rendicontare prassi virtuose nell’ambito dell’area social dei criteri ESG, risolvere potenziali controversie in tempi veloci e mantenere rapporti con gli stakeholder con riflessi positivi in tutte le tipologie di bilancio (grazie al Collega Paolo Savoldi)
  9. Il vantaggio di autodeterminare la soluzione del proprio conflitto, mentre in un giudizio la decisione sulle sorti delle parti è lasciata a un terzo (grazie al Collega Salvatore Azzaro)

La strada è tracciata, fortunatamente sempre più cittadini, imprese e avvocati scelgono la mediazione, ci auguriamo siano sempre di più.

Multa nulla se l’autovelox non è segnalato almeno un km prima

Se l’autovelox non è segnalato almeno un chilometro prima dell’apparecchio, la multa può essere annullata. Lo ha stabilito la Suprema Corte nell’ordinanza n. 25544/2023, riportata integralmente di seguito. La sanzione era stata annullata in sede di appello dal Tribunale competente, dopo che in primo grado il ricorso dell’automobilista era stato rigettato.

Cassazione civile, sez. II, Ordinanza 31/08/2023 (ud. 13/06/2023) n. 25544

(Presidente Bertuzzi – Relatore Caponi)

Fatti di causa

Nel 2018 G.G. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Ferrara avverso il verbale di contestazione della violazione dell’art. 142 comma 9 C.d.S., emesso dalla Polizia locale appartenente alla Unione (omissis) , per eccesso di velocità rispetto al limite di 70 Km/h, con sanzione di circa Euro 550 e decurtazione di sei punti sulla patente di guida. Il ricorrente faceva valere l’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, di cui all’art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017.

Rigettata in primo grado, l’opposizione è stata accolta in secondo grado. Ricorre in cassazione l’Amministrazione con tre motivi. Resiste il privato con controricorso.

Ragioni della decisione

1. – Con il primo motivo si censura che il giudice di appello abbia rilevato d’ufficio la questione relativa all’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, requisito ex art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017. Si allega che tale questione non è stata dedotta dal ricorrente, che si è limitato a dedurre il difettoso posizionamento dell’auto-velox rispetto al segnale di preavviso della presenza di postazione di rilevazione. Si deduce quindi si deduce violazione degli artt. 112 c.p.c., 204 C.d.S., 7 D.Lgs. n. 150 del 2011.

Censurato è il seguente ragionamento del Tribunale: è da esaminare la questione sollevata dal privato nelle note conclusive, poiché offre all’attenzione un argomento difensivo diverso da quello che insiste sul difettoso posizionamento dell’autovelox rispetto al segnale di preavviso, fatto valere con il terzo motivo di appello. Peraltro, tale questione, relativa al mancato rispetto della distanza minima tra il segnale di limite di velocità e la postazione di rilevazione, è fondata su norme giuridiche ed è pertanto rilevabile d’ufficio.

La censura del ricorrente invoca tra l’altro Cass. 24037/2020, ove si statuisce che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione, il giudice incontra il divieto ex art. 112 c.p.c. di rilevare d’ufficio vizi diversi da quelli fatti valere con l’atto introduttivo, nel senso che egli non può fondare la decisione su fatti estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo diverso da quello allegato dalla parte.

Il primo motivo non è fondato.

Risulta dagli atti che una delle ragioni dell’impugnazione del verbale è “l’illegittimo posizionamento dell’apparecchiatura per il rilevamento automatico della velocità ad una distanza inferiore a 1 km dal cartello segnalatore della velocità consentita”, che è il motivo sul quale il giudice ha fondato l’accoglimento dell’opposizione.

Ciò assorbe l’altra questione: se il ricorrente non avesse fatto valere il mancato rispetto della distanza minima tra segnale di limite della velocità e autovelox, ci si potrebbe domandare infatti se davvero l’ac-coglimento dell’opposizione sotto tale profilo avrebbe urtato contro l’orientamento della giurisprudenza di legittimità invocato dal ricorrente, una volta che si dia adeguato peso alle circostanze che il difettoso posizionamento della postazione di rilevazione della velocità rispetto a precedenti segnalazioni è comunque entrato a far parte della materia del contendere e che il predetto orientamento giurisprudenziale è maturato in relazione ad effettive deviazioni della pronuncia del giudice rispetto alla materia del contendere. Cfr. in particolare Cass. 13751/2006: il privato fu sanzionato per inosservanza di una normativa Europea; egli fece opposizione lamentando (unicamente) di averla rispettata; il giudice accolse l’opposizione perché vide che il verbale non recava l’indicazione del luogo in cui era stata accertata la violazione.

Il primo motivo è rigettato.

2. – Con il secondo motivo si censura che il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 di attuazione dell’art. 25 comma 2 l. 120/2010 non sia stato disapplicato ex artt. 3 Cost., 4, 5 l. 2248/1865 All. E.

La censura è argomentata come segue: secondo l’art. 25 comma 2 l. 120/2010, “fuori dei centri abitati (gli autovelox) non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità” (il corsivo è del Collegio). Ciò consente all’utente di avere a disposizione uno spazio ragionevole per diminuire la velocità al fine rispettare il limite. Tale ragione giustificatrice delimita l’ambito di applicazione del limite minimo di distanza alle ipotesi in cui vi è un segnale che imponga di abbassare il limite di velocità (per la prima volta) e non di un segnale che ripeta (in modo inalterato) il limite precedente. Tuttavia, il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 dispone: “Nel caso di diverso limite massimo di velocità anche lungo un solo ramo della intersezione, sia maggiore che minore (il corsivo è del Collegio) rispetto a quello ripetuto dopo l’intersezione, la distanza minima di un chilometro si computa dopo quest’ultimo in modo da garantire a tutti gli utenti della strada in approccio alla postazione lo stesso trattamento”. La parte ricorrente considera che tale disposizione regolamentare sia irragionevole ex art. 3 Cost. poiché equipara il caso dell’intersezione di strada ove il limite di velocità è minore (come nel caso di specie in cui si allega che la strada dalla quale è provenuto il privato incontri il limite di velocità di 50 km orari) con il caso di intersezione di strada ove il limite di velocità è maggiore.

Il secondo motivo non è fondato.

L’argomento letterale invocato dall’amministrazione a fondamento della richiesta di disapplicazione di un decreto governativo in danno del cittadino è di insostenibile fragilità e si può rovesciare, argomentando con pari persuasività che il segnale di limite di velocità, poiché prescrive un divieto (di superare quella velocità), segnala in ogni caso un’impo-sizione, indipendentemente dall’esistenza di un precedente limite e dall’entità di tale limite. Si aggiunga che il decreto ministeriale si informa a un’esigenza di uniformità semplificante che difficilmente lo espone a rilievi sul fronte della ragionevolezza ex art. 3 Cost. Infine, ove mai tali rilievi potessero trovare ingresso con effetto di disapplicazione, il privato sarebbe assoggettato a una sanzione amministrativa in forza di un parametro normativo concretizzatosi nell’occasione del giudizio e non già prima della commissione della violazione.

Il secondo motivo è rigettato.

3. – Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, si denuncia che il privato non abbia allegato di essersi immesso nella strada provinciale di cui è causa dall’unica strada recante un limite di velocità (50 chilometri orari) inferiore. Si lamenta il mancato rilievo del difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.

Il terzo motivo è inammissibile, poiché è diretto a far valere una questione irrilevante rispetto alla pronuncia che ha annullato il verbale di violazione del codice della strada per il posizionamento dell’autove-lox ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale di limite di velocità.

4. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 550, oltre a Euro 100 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023.

Le nuove materie in cui è obbligatorio il tentativo di mediazione

Ricordo a tutti, e specialmente ai miei cari colleghi Avvocati, che dal 30 giugno è in vigore l’obbligo del tentativo di mediazione in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura, in aggiunta alle materie attuali che sono state tutte confermate (condominio, diritti reali, divisione,successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilita’ medica e sanitaria e da diffamazione a mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari)
Vi aspettiamo in Adr Center!
www.adrcenter.it
www.odrcenter.it

Dal 1° marzo separazione e divorzio in un unico procedimento

Da ieri, 1° marzo 2023, è in vigore – tra le altre norme previste dalla riforma Cartabia il rito unico in tema di separazione e divorzio.

La riforma Cartabia prevede che, a differenza di quanto avveniva finora, venga adottato un rito unico per separazione e divorzi. Viene per esempio abolita l’udienza presidenziale e la legge indica i requisiti del ricorso, oltre ai meccanismi di preclusione e decadenza, che diventeranno fondamentali

Nel dettaglio, il procedimento per la separazione, il divorzio e l’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio sarà il medesimo, delineato dall’articolo 473 bis del Codice di procedura civile. Le parti saranno quindi tenute a indicare preventivamene le condizioni patrimoniali e reddituali, oltre al piano genitoriale. Quest’ultimo dovrà dunque contenere gli impegni e le attività svolte dai minori, in particolare in relazione a scuola, percorso educativo, attività extrascolastiche, sport, attività culturali e ricreative, frequentazioni parentali e amicali, luoghi frequentati, vacanze. Saraà anche obbligatorio l’ascolto del minore al di sotto dei dodici anni, sempre che il giudice ritenga il minore in grado di fornire risposte sensate, anche con il contribuito di professionisti dell’infanzia (psicologi o neuropsichiatri), dovrà essere reso obbligatorio. Non solo. Il giudice potrà in ogni caso procedere alla nomina di un curatore speciale, laddove necessario.

Infatti, ai sensi del nuovo articolo 473 bis, comma 49 del codice di procedura civile, “Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale”.

Il nuovo passo in avanti della riforma segna insomma un’altra tappa sulla via dell’accelerazione e della semplificazione di separazione e divorzi avviata nel 2015 con l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve”. Vedremo quale sarà la sua applicazione pratica.

Per informazioni o consulenze, scrivere a consulenza@studiotantalofornari o su WhatsApp al n. 0632609190